Firmato DiazIl 4 novembre del 1918 finì la Grande Guerra. Ma quel giorno, era un lunedì piovoso, si continuò a morire. Quando mancavano forse dieci minuti al termine di ogni ostilità, sul Tagliamento uno squadrone di cavalleria avanzò al galoppo, in un pomeriggio grigio come l'acqua del fiume. Davanti alle mitragliatrici austriache schierate, un capitano ordinò assurdamento la carica "Per la Patria" e in pochi istanti fu una carneficina.

Gli ultim caduti italiani furono due sottufficiali di 18 anni, "ragazzi del '99". Il giorno dopo sul Gazzettino un titolo a grandi caratteri annunciava l'Armistizio e la sconfitta degli Austriaci: "Sfacelo totale dell'esercito austriaco. 300 mila prigionieri e 5000 cannoni catturati. Le ostilità cessate alle ore 3 del pomeriggio del 4 novembre".

A seguire, il Bollettino della Vittoria, col tocco finale destinato a passare alla storia: "I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Firmato Diaz".

Alcuni collaboratori aiutarono Armando Diaz a trovare le parole da affidare ai posteri. Tra loro c'era Ferruccio Parri, giovane ufficiale piemontese che sarebbe stato il primo presidente del Consiglio nell'Italia libera del secondo dopoguerra. E c'era l'ufficiale toscano Giovani Gronchi che sarebbe diventato nel 1955 Presidente della Repubblica. Tutta la classe dirigente che avrebbe governato l'Italia nei successivi sessant'anni era al fronte, coinvolta nella Grande Guerra. Fra i tanti, politici come Mussolini, Nenni, Togliatti, Pertini. Intellettuali come Montale e Ungaretti. Religiosi come Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII.

Diaz e gli ufficiali del comando supremo avevano impiegato molto tempo per stendere il Bollettino e per mettere in evidenza l'importanza della battaglia finale di Vittorio Veneto. Pare che Diaz non sapesse nemmeno dove cercare sulla mappa Vittorio Veneto, che si chiamava già così e la battaglia dell'autunno 1918 non c'entra niente col nome. Indro Montanelli racconta che Diaz se ne stava con la faccia appiccicata a un'enorme carta geografica del Veneto, la guardava con occhi miopi, si aiutava con una grossa lente d'ingrandimento. Dopo averla più volte percorsa inutilmente, si voltò verso Parri e, in napoletano, mormorò: "Ma 'sto Vittorio Veneto addò cazzo sta?". Effettivamente non era la frase giusta per passare alla storia, gli ufficiali più colti dovettero fare salti mortali. E' pur vero che al generale napoleonico Cambronne per passare alla storia è bastata una sola parola, detta al momento giusto a Waterlooo: "Merde". La traduzione è inutile.

Quello che Diaz non avrebbe mai pensato è che la sua firma sul Bollettino della Vittoria avrebbe dato il nome a migliaia di nuovi italiani. "Firmato" fu preso per il nome del generale e allo stato civile, nell'euforia di quei giorni, migliaia di italiani chiamarono i loro figli proprio così.La Chiesa non si oppose perchè un san Firmato esiste e si festeggia il 5 ottobre. Del resto, quella dei nomi è una moda. In tempi di affermazione della tv un tale battezzò il figlio Monoscopio. E col successo delle serie tv i nuovi italiani si sono chiamati Geiar, Suelle, Kevin, Micaela, Maicol, Micail, Samantha, Sarah con e senza h finale. In fondo, Firmato aveva un suo fascino.

Edoardo Pittalis - gazzettino.it

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