Come se non bastasse l’ipetrofica offerta quotidiana di calcio, qualche illustre giornalista si è lamentato nei giorni scorsi per la sosta della serie A durante le vacanze di Natale, che sarebbe invece il momento ideale per godersi altro pallone in televisione o allo stadio – è da sperare soltanto che non siano le stesse penne che invocano una lunga sospensione nel medesimo periodo dell’anno per evitare inverecondi spettacoli su campi ghiacciati o coperti di nebbia e per sottrarre i tifosi sugli spalti all’inclemenza del freddo invernale.

Ben 99 anni or sono, invece, i soldati asserragliati nelle gelide e fangose trincee che correvano lungo il Fronte occidentale della I Guerra Mondiale approfittarono del clima natalizio e del terreno solidificato dal ghiaccio nello spazio che separava gli schieramenti per dar vita ad amichevoli e inaspettate partite di calcio, fornendo così una delle più lampanti dimostrazioni del legame simbolico esistente fra la guerra e la competizione agonistica. Sulle reali entità, durata e contenuti delle “Tregue di Natale”, come sono passate alla storia le sospensioni delle operazioni belliche spontaneamente convenute fra le truppe impegnate sui terreni di battaglia delle Fiandre e della Francia, non c’è accordo fra gli storici. I racconti dei protagonisti raccolti durante gli anni convergono tuttavia nel ricostruire scenari diversi ma simili lungo le centinaia di chilometri di fronte.

La mattina della vigilia di Natale del 1914, presso Ypres, in Belgio, alcuni soldati britannici stavano raccogliendo i corpi dei compagni uccisi nei giorni precedenti e ancora abbandonati nella terra-di-nessuno, quando notarono che le truppe tedesche stavano addobbando le trincee mentre intonavano “Stille nacht”. Positivamente impressionati ma ancora sospettosi, i britannici risposero con altri cori natalizi e ben presto diversi soldati si riunirono nella terra-di-nessuno, scambiandosi piccoli doni come cibo, alcolici, tabacco o spille militari. Il clima di solidarietà continuò anche il giorno seguente: gli uomini uscirono dalle trincee e passarono la festa insieme, probabilmente facilitati nello scambio dai molti tedeschi che conoscevano l’inglese per aver lavorato a Londra prima del conflitto. Una stima prudente calcola che quasi 100.000 uomini rimasero coinvolti in questa tregua improvvisata, benché i combattimenti continuassero sanguinosamente in altri tratti dello stesso fronte e ovviamente in Serbia, in Africa, nel Caucaso e in altri teatri bellici.

All’improvviso, comparve un pallone o un rotolo di stracci organizzato alla bell’e meglio, gli elmetti furono disposti al suolo per fungere da porte e gli uomini cominciarono a giocare. I più precisi resoconti di una delle partite vengono dalla parte tedesca. Il tenente Johannes Niemann in un’intervista rilasciata negli anni ’60 narra di una vera e propria partita fra il 133esimo Reggimento imperiale e le truppe scozzesi, terminato 3-2 a favore dei tedeschi, con la rete decisiva convalidata dal reverendo Jolly nonostante un evidente fuorigioco del marcatore, come racconta il poeta e veterano di guerra inglese Robert Graves. Nel resoconto meno lirico del commilitone Ernie Williams, non ci fu invece una vera partita, ma centinaia di uomini presero a correre disordinatamente dietro al pallone, semplicemente grati per quei brevi momenti di spensieratezza.

Meno lieti degli eventi furono gli alti comandi a Londra, Parigi e Berlino, che immediatamente diffusero dispacci per ricordare ai soldati che erano al fronte per ammazzarsi e non per giocare a calcio. In certi casi, il segnale della fine delle ostilità sportive e della ripresa dei combattimenti con le armi da fuoco venne da ripetuti colpi di artiglieria, come realisticamente rievocato nel celebre video-clip di “Pipes of peace”, in cui Paul McCartney interpreta sia l’ufficiale inglese che quello tedesco, che al precipitoso rientro in trincea si ritrovano ognuno in tasca la fotografia della fidanzata dell’altro. Anche la stampa stentò a dare notizia degli eventi e solo all’inizio del successivo mese di gennaio furono pubblicate foto delle “Tregue di Natale”, corredate dalle lettere dei soldati al fronte che ne davano conto: il New York Times e i giornali inglesi uscirono con commenti positivi, mentre l’aspra censura che imbavagliava la stampa francese impedì una vera copertura della notizia, analogamente a quanto successe in Germania, dove nei pochi articoli pubblicati prevalsero forti critiche verso i soldati traditori.
Gli episodi di fratellanza fra nemici non furono stigmatizzati soltanto dalla stampa nazionalista, per conservare l’indispensabile spirito bellico a poco più di sei mesi dall’inizio di un conflitto che avrebbe alla fine mietuto 20 milioni di vittime, fra morti e feriti. Gli ufficiali erano preoccupati per il diffondersi del rilassamento fra le truppe e molti dei soldati che avevano partecipato agli episodi di solidarietà furono trasferiti su altri scenari di guerra, dopo che si registrarono alcune resistenze al ritorno alla consueta routine militare. Il generale inglese Horace Smith-Dorrien, venuto a conoscenza dei fatti, dichiarò irritato: «Ho emesso ordini severi che in nessun caso sono ammesse relazioni con le truppe avversarie. Per concludere in fretta questa guerra, dobbiamo mantenere lo spirito combattivo e fare tutto il possibile per scoraggiare rapporti amichevoli».

Nei successivi anni di guerra, i quartier generali si premurarono di diffondere per tempo ordini ai graduati affinché prendessero misure atte a scongiurare il ripetersi di tregue spontanee. Voci critiche si levarono anche dalla schiera dei semplici combattenti, che bollarono come impostori e codardi quanti avevano ceduto al sentimentalismo. Un soldato di nascita austriaca del 16esimo Reggimento bavarese di fanteria scrisse nel proprio diario: «Certe cose non dovrebbero succedere in tempo di guerra. A voi tedeschi non è rimasto alcun senso dell’onore?”. Quel diario apparteneva al caporale Adolf Hitler.

Paolo Bruschi
per gonews.it

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